Il post sul “centralismo democratico nel sindacato pensionati (Fnp)”, si conclude con la constatazione che, su oltre tremila iscritti degli otto comuni componenti l’interlega di Cremona, avevano presenziato e votato una quarantina di persone, cioè l’1,3% dei soci.
L’irrisoria partecipazione dovrebbe far sorgere qualche dubbio sulla riduzione di numero delle leghe (ora chiamate RSL) e sullo svilimento delle loro funzioni. Ho manifestato questo dubbio in assemblea, ma il Segretario mi ha risposto che “così vuole il Regolamento”, dimostrandosi indifferente al merito della questione.
La risposta mi ha sorpreso solo in parte, in quanto era abbastanza chiaro fin dalla lettera di convocazione come la partecipazione dei soci non fosse in cima alle preoccupazioni dei dirigenti: infatti, i tremila soci dell’interlega erano stati convocati in una sala capace di una quarantina di posti.
Un comportamento così rinunciatario in partenza si può spiegare con la rassegnazione di fronte al disinteresse, al disincanto, talora all’avversione nei confronti delle organizzazioni sociali (come hanno bene rilevato le ricerche del Censis). La convocazione di assemblee intercomunali, dove si può racimolare un gruppetto di soci (nel caso nostro 40), può dare la sembianza della partecipazione, a differenza di assemblee comunali, dove i partecipanti si ridurrebbero a qualche unità.
Ma in questi termini, mi sembra un comportamento che impoverisce la funzione dei dirigenti, che dovrebbero invece preoccuparsi di motivare i soci assenteisti con una maggiore vicinanza territoriale e con un più intenso coinvolgimento sugli interessi strettamente “sindacali” della categoria, dato che ai servizi di diversa natura provvedono egregiamente organismi collaterali.
Se questa preoccupazione non c’è, vuol dire che prevalgono ragioni di potere, le quali fanno sì che i soci, che dovrebbero essere il corpo e l’anima del sindacato, una volta acquisiti con una iscrizione una tantum e poi appagati con i servizi e con qualche festa, si riducano a massa passiva, sulla quale i dirigenti che tirano i fili dell’organizzazione esercitano una specie di “sindacato di controllo”, simile a quelli delle grandi società per azioni, dove per esercitare il comando può bastare appunto un 1,3% dei voti.