La minaccia dei giovani comunisti cremonesi di contestare la presenza del sindaco Perri e del presidente Salini alla celebrazione del 25 aprile è stata criticata in una lettera alla Provincia del 21 aprile da Vincenzo Montuori, che precisa in modo sintetico e chiaro come la festa della Liberazione “non è la festa di una parte (come qualche revisionista vuol far credere), ma il primo atto fondativo della repubblica nata sulle ceneri del fascismo”. Soggiungendo che è diritto e dovere delle istituzioni di rappresentare nell’occasione tutti i cittadini, “mettendo per un giorno da parte le loro convinzioni politiche”. Altrettanto sintetica e chiara la replica del direttore del giornale, che si chiede “perché mai Perri e Salini dovrebbero mettere da parte le loro convinzioni”, non risultandogli che abbiano mai messo in discussione i valori fondanti della repubblica.
In effetti, l’argomentazione di Montuori (come quella analoga di Azzoni sulla Provincia del 23 aprile) sembra rivelatrice di un sotterraneo sospetto nei confronti degli attuali rappresentanti istituzionali, attesi alla prova dei loro discorsi e delle loro scelte. Nonché nei confronti della revisione storica sulla Liberazione e sulla Resistenza, che pure ha avuto il merito di mettere in discussione l’egemonia di una parte politica su quegli avvenimenti.
Che le pregiudiziali politiche e ideologiche siano dure a morire è dimostrato dall’accusa di mistificazione, rivolta da qualche storico a Ciampi e a Napolitano in visita a Cefalonia, per avere celebrato, rispettivamente nel 2001 e nel 2007, la condotta della Divisione Acqui come “primo atto di resistenza”. Eppure, il gesto e l’affermazione dei due presidenti miravano alla ricerca di quella memoria condivisa, che dovrebbe essere lo scopo di tutti i partiti, di tutti i movimenti e di tutti i singoli cittadini che hanno condannato e combattuto il fascismo. Una memoria condivisa necessariamente larga, che intende celebrare nello stesso giorno la Liberazione dalla guerra, la Liberazione dalla dittatura fascista, la Liberazione dall’occupazione tedesca dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
La Liberazione così intesa, come l’ha vissuta la grande maggioranza degli italiani, ha diversi protagonisti. Comincia con lo sbarco in Sicilia e prosegue con la sanguinosa risalita della penisola degli eserciti alleati, durante la quale i soldati americani, inglesi, polacchi, australiani, assieme agli italiani del Regno del Sud, hanno lasciato sul terreno 65mila morti e 30mila dispersi. Ha il sigillo nella guerra partigiana nelle montagne del Centro Nord, la Resistenza dei “ribelli” delle formazioni di diverso orientamento politico, con i suoi 18mila morti, che affonda le sue radici nell’opposizione clandestina al regime fascista, coltivata nelle cellule di partito, nell’esilio e negli oratori.
Questa storia crudele non merita di essere piegata ad interessi politici di nessun colore. Il 25 aprile deve essere l’occasione per spiegare la storia, non per usarla. Per essere festa di tutti, non può avere una sola bandiera, ma tutte le bandiere di coloro che per la Liberazione hanno sacrificato la vita.