La notizia è tornata d’attualità dopo l’ampio articolo pubblicato in merito dal quotidiano “Cronaca” lo scorso 4 novembre: “La «stanza del buco» raddoppia, riesplode l’allarme dei residenti” titolava il quotidiano, specificando come la struttura di via Buoso da Dovara, gestita dalla cooperativa “Associazione Di Bessimo” e sede dell’Unità di strada, non somministri né metadone, né altre droghe, ma si limiti a fornire ai tossicodipendenti “incalliti” e convinti un luogo dove limitare i rischi correlati alla loro condizione, scambiando le siringhe usate con altre nuove, nonché raccogliendo quelle sporche abbandonate sui marciapiedi della città.
Tutto questo però pare non convinca i vicini, che lamentano condizioni di degrado e vistosi problemi di convivenza. Il che è comprensibile, secondo fratel Francesco Zambotti, fondatore dell’associazione “La Tenda di Cristo”, che da molti anni si occupa di droga, Aids ed emarginazione di donne e bambini, non solo in territorio cremonese (dove ha dieci case), ma anche nel Catanese, nel Trapanese, in Brasile ed in Messico.
Dice fratel Francesco: “Se la stanza fosse in periferia, nessuno avrebbe niente da dire. Tuttavia, come in tutte le cose, credo vi sia sempre del positivo: l’eziologia dell’emarginazione e della droga è sempre stata la carenza affettiva, che parte quasi sempre dalla famiglia, la quale, assorbita ormai da tante situazioni particolari, lascia da parte la dimensione dell’educare e del ’costruire’ con cura l’equilibrio dei figli, privilegiando la concessione di beni materiali alla loro maturazione come persone. Ciò, di solito, non viene considerato. Ma è la causa prima. Dopodiché lo stato e la sanità pubblica cercano di mettere delle toppe al degrado interiore dell’individuo, degrado che in genere coinvolge chi abbia grande sensibilità e buona intelligenza”.
Quanto alla cosiddetta “stanza del buco”: “Ho lavorato anch’io con l’Unità di strada – ricorda –- Ritengo che il discorso, se si mantiene in termini di prevenzione, sia positivo. A mio avviso, però, un conto è spostarsi con un camper nei luoghi frequentati dai tossicodipendenti (come un tempo) e tentare un dialogo con loro, un conto è spostare il discorso in un ambiente fisso, in un edificio, com’è ora; questo crea difficoltà col vicinato. Che ciò avvenga per ignoranza, che ciò avvenga per uno spettacolo che lascia a desiderare, c’è una protesta, che va accolta. Ed è bene che ci sia la protesta, così che da qui si possa lavorare per ricercare la proposta, la soluzione migliore”.
I responsabili della struttura di via Buoso da Dovara negano che la loro sia la “stanza del buco”, anzi respingono con forza questa definizione. “Sì, non conosco tale realtà, ma non credo che in essa vi sia una possibilità reale di bucarsi. Se ciò avvenisse, non lo condividerei. Credo sia ben chiaro a chi è lì dentro il suo ruolo di educatore. Il che significa anche mettere dei paletti. Essere accanto a loro, ai tossicodipendenti, è giusto, però senza assumere atteggiamenti che in qualche modo agevolino il buco. Ci dev’essere grande chiarezza, occorre gestire gli spazi senza preamboli ed ambiguità”.
Che giudizio dà, allora, del fatto che presso i Sert lo stato autorizzi e sovvenzioni l’erogazione di metadone ai tossicodipendenti, anche per anni? “Sono contrario –dice fratel Francesco – Lo Stato si giustifica, parlando di ‘riduzione del danno’. Sono sempre stato critico in merito, nelle mie comunità non accetto individui che ancora ricorrano ai Sert perché schiavi del metadone, a meno che non faccia parte di un chiaro programma ‘a scalare’. A mantenimento, no. Io accolgo nella misura in cui mi sia possibile ridare a queste persone la loro dignità, agire in termini di prevenzione, parlare alle loro famiglie perché diano loro più affetto. E’ difficilissimo capire quando un tossicodipendente sia pronto e disposto a sentire una buona parola, una parola amica, pronta a strapparlo al tunnel della droga. Spesso ti mandano a quel paese, finché non arrivano al punto o di morire o di tornare indietro. Non son più loro, sono le sostanze che gestiscono la loro vita”.
Per questo, fratel Francesco lancia una proposta: insegnare dalle terze medie o dalle prime classi delle superiori, una materia che aiuti il ragazzo a dialogare, ad aprirsi, a parlare. I soldi che lo stato dovrebbe spendere per reclutare i nuovi insegnanti, se posti di fronte ad un programma ben studiato e realizzato, li risparmierebbe, non dovendoli più erogare dopo a strutture come i Sert. Assicura il religioso che ci si guadagnerebbe pure. Non solo in soldi, prima di tutto in umanità.