Perché nonostante gli innegabili progressi compiuti un “disagio sottile si è impadronito del Paese? Secondo Luca Ricolfi (La Stampa del 13 marzo) alle origini del malessere c’è l’incapacità di risolvere la questione meridionale, che ha prodotto al Nord sentimenti antimeridionali (impersonati soprattutto dalla Lega) e al Sud, per reazione, fenomeni opposti.
Ricolfi appoggia la sua tesi sulle serie storiche del prodotto pro capite, che dimostrano come la questione meridionale non sia stata ereditata dai Savoia, ma da loro creata con le tasse e la politica doganale. Solo con la riforma agraria e la Cassa del Mezzogiorno (nel periodo 1951-71) il divario creatosi si è accorciato, ma il recupero del Sud è avvenuto in termini di reddito e di consumi e non di prodotto (il prodotto del Sud è il 60% di quello del Nord), cioè mediante trasferimento di redditi dal Nord al Sud. Dagli anni Settanta, il trasferimento si è fondato sulla espansione senza limiti del debito pubblico, generatore di consenso politico al Sud e di rendite finanziarie al Nord.
Il risultato è stato l’aumento della pressione fiscale dal 35% del 1985 al 43% del 1999, con un debito pubblico pari al 120% del prodotto nazionale. Ma quando il giocattolo si è rotto, l’Italia, che aveva avuto tassi di sviluppo più alti del resto d’Europa, comincia a rallentare ed entra, ancor prima della crisi del 2008, in stagnazione. Di fronte a questa situazione il Paese resta inerte, si regge sulla ricchezza accumulata e sulle risorse del volontariato e non si accorge di “stare sciogliendosi come un ghiacciaio”.
Di chi la colpa? Certo dei politici e dei dirigenti. Ma l’inerzia dei politici e dei dirigenti è il riflesso dell’indisponibilità di tutti a rischiare, a rimettersi in gioco. Tutti uniti nel non volere cambiare le nostre vite.
Luca Ricolfi, Mezzogiorno, le radici del nostro scontento, La Stampa, 13 marzo 2011