Cives Cremona

20 febbraio 2012

Una strada maestra per la cittadinanza

Filed under: Società — Cives Cremona @ 07:00

Se quella della cittadinanza onoraria è una palese scorciatoia, un’estemporanea provocazione, quale dunque – ci si chiede – la via maestra per rispondere all’appello del Presidente della Repubblica?
Prima di tentare una risposta, è bene ricordare che l’ordinamento vigente ha già operato un’ampia estensione dei diritti a favore dello straniero. Il Trattato europeo e altre Convenzioni internazionali, nonché le sentenze della Corte Costituzionale, riconoscono allo straniero regolarmente soggiornante in Italia tutti i diritti inviolabili dell’uomo, i diritti civili, quelli economici e sociali; e anche un sia pur parziale diritto di partecipare alla vita pubblica locale. La distinzione tra cittadino e straniero è stata così quasi totalmente assorbita da quella di residente, cui resta esclusa solo la pienezza dei diritti politici derivante dalla cittadinanza.
Lo status di “cittadinanza”, che lega stabilmente il cittadino allo stato, rappresenta la comunanza di storia e di cultura su cui lo stato si è costruito. In tutte le nazioni europee tale status si acquista – normalmente – per filiazione (diritto di sangue). Solo la Francia ammette un’eccezione a favore del diritto di suolo, riconoscendo la nationalité al bambino nato in Francia, ma solo quando almeno uno dei genitori vi sia anch’esso nato.
La prevalenza del diritto di sangue in Europa ha ragioni storiche, politiche e demografiche. E’ un modo con cui paesi caratterizzati da elevata densità di popolazione e da forte emigrazione hanno mantenuto il legame con i figli dei cittadini emigrati. Il diritto di suolo è stato invece adottato da paesi con forte immigrazione e con ampi territori da popolare.
Torniamo alla domanda iniziale, ponendone un’altra: è proprio necessario rovesciare il criterio generale, per rispondere alle sollecitazioni del Presidente, al fine di facilitare l’acquisto della cittadinanza da parte dei giovani stranieri nati in Italia?
A nostro parere, l’acquisto della cittadinanza non dovrebbe essere lasciato al caso e nemmeno discendere da un’onorificenza. La strada maestra dovrebbe essere quella di semplificare e sveltire le procedure di concessione, applicando – ad esempio – quelle adottate in Germania, dove lo straniero residente regolarmente da almeno otto anni può ottenere, a precise condizioni, la cittadinanza tedesca per sè e per i propri figli. E dove con apposite campagne informative si rendono edotti i lavoratori stranieri dei vantaggi della cittadinanza tedesca e delle modalità per ottenerla.
Questa è una strada maestra per la cittadinanza, approdo finale di una politica migratoria ben governata.

17 febbraio 2012

La scorciatoia della cittadinanza onoraria

Filed under: Società — Cives Cremona @ 19:44

Tutto è cominciato il 15 novembre scorso quando, in un incontro al Quirinale dedicato ai Nuovi cittadini italiani, il presidente Napolitano si è dichiarato “convinto che i bambini e i ragazzi venuti con l’immigrazione facciano parte integrante dell’Italia di oggi e di domani”. E che, “all’interno dei vari progetti di riforma delle norme sulla cittadinanza, la principale questione aperta rimane oggi quella dei bambini e dei ragazzi”, in quanto “sulla riforma delle modalità e dei tempi per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai minori si è registrata una sensibilità politica significativa e diffusa” ed esiste, inoltre, “un’ampia disponibilità nell’opinione pubblica italiana a riconoscere come cittadini i bambini nati in Italia da genitori stranieri”.
Da queste parole – che condividiamo totalmente – è partita una serie di iniziative “politicamente corrette”  dirette a forzare i tempi del Parlamento circa la riforma della legge sulla cittadinanza, nel senso di introdurre lo
ius soli (diritto di suolo) come modo di acquisto della stessa, al posto dello ius sanguinis (diritto di sangue), oggi previsto. Ha cominciato la provincia di Grosseto, subito in novembre, proponendo la cittadinanza onoraria ai giovani figli di immigrati, come atto simbolico “a sostegno della iniziativa affermata anche dal Presidente della Repubblica”. Ha proseguito la provincia di Pesaro, sempre in novembre, con un ordine del giorno del consiglio in cui, tra i considerata, è citato il pensiero di Napolitano e che si conclude con la decisione di conferire la cittadinanza onoraria ai 4500 figli di immigrati nati negli ultimi dieci anni, in una cerimonia che prevede “la consegna di un tricolore, di una copia della Costituzione, di una maglietta della nazionale (sic) e di un attestato con la scritta: sei italiano”. In gennaio, il consiglio comunale di Torino ha approvato un ordine del giorno con cui impegna il sindaco e la giunta a “farsi interpreti presso il governo affinché non cada nel vuoto l’appello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nel corso della discussione, un consigliere ha proposto, “come gesto dal forte significato simbolico, la cittadinanza onoraria al primo nato straniero a Torino nel 2012”. Per finire, anche da noi pochi giorni fa, Angelo Zanibelli (consigliere Udc), ha presentato un ordine del giorno con cui, premettendo la tradizionale attenzione e accoglienza della nostra città verso l’emigrazione, propone di conferire la cittadinanza onoraria ai bambini nati a Cremona tra il 2000 e il e il 2006.
Nonostante l’autorevolezza della fonte, ci sembra che l’impostazione presidenziale, nonché le iniziative di appoggio, colgano solo un aspetto della politica diretta all’inclusione degli immigrati nella comunità nazionale. La cittadinanza infatti non può essere che il momento terminale di un processo che comprende il lavoro, la casa, il ricongiungimento familiare, l’inserimento sociale e scolastico.
Inoltre, presuppone una scelta consapevole, che per i minori dovrebbe passare dalla famiglia, affinché non possa essere vista come una “italianizzazione” forzata. Di questo è perfettamente consapevole anche il presidente Napolitano, quando dice che “non possiamo chiedere ai ragazzi che hanno genitori nati in altri paesi di ignorare le proprie origini. L’importante è che vogliano vivere in Italia e contribuire al benessere collettivo condividendo lingua, valori costituzionali, doveri civici e di legge del nostro paese”.
Prendere la scorciatoia della cittadinanza onoraria (priva di qualunque effetto, come hanno ben presente anche i promotori) vuol dire essere più presidenzialisti del presidente ed evitare l’onere dell’approfondimento giuridico, che potrebbe contribuire a dipanare la materia all’esame del Parlamento (dove giacciono cinquanta progetti).

16 novembre 2011

Il politico ideale per gli italiani “maturi”

Filed under: Società — Cives Cremona @ 07:00

Qual è il profilo del politico che gli italiani over 50 vorrebbero? Risponde alla domanda una ricerca del Censis, curata da Elisa Manna, effettuata su un campione di 1200 persone tra i 50 e i 65 anni, secondo la quale gli italiani “maturi” pretenderebbero dai politici autorevolezza, saggezza, onestà e sobrietà.
La ricerca, intitolata “Prima delle leggi”, sollecitava a ragionare sui “valori fondamentali della convivenza, per ritrovare il senso del vivere insieme”. Ebbene, due terzi degli intervistati ha risposto che è la testa a orientare le decisioni, derivandole prevalentemente dalla cultura familiare e dall’esperienza personale e solo in minima parte dall’appartenenza religiosa, etnica o economica. La stragrande maggioranza ha dichiarato di considerare positivo il rapporto con gli altri; la metà ha indicato come modello di riferimento i genitori, un terzo ha indicato un amico. Circa i politici, gli intervistati li vogliono saggi, onesti e capaci di assicurare la giustizia sociale.
Il quadro della società italiana che la ricerca fa intravedere sembra dunque al là delle aspettative. Lo ammette la stessa responsabile, affermando che “non è un distruttivo spirito anticasta quello che emerge, ma il desiderio di una politica al servizio della società e di politici come servitori del Paese”.

8 novembre 2011

Chi alimenta le difficoltà del welfare

Filed under: Società — Cives Cremona @ 17:08

Il nostro ultimo post sull’opportunità della partecipazione dei familiari alle rette di ricovero ha attirato qualche critica. Si obietta che il ricovero in Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) dovrebbe essere equiparato ad un ricovero ospedaliero e non comportare quindi alcun obbligo per i parenti del ricoverato. Si obietta anche che il diritto all’assistenza sancito dalla Costituzione (art. 38) eliderebbe l’obbligo civile degli alimenti (art. 433 del Codice Civile).
Queste argomentazioni sono sostenute da autorevoli giudici nelle loro sentenze e anche da autorevoli docenti. Il professor Massimo Dogliotti (in Prospettive assistenziali, n.125/99) afferma infatti che “le prestazioni dovute agli anziani non autosufficienti sono – e devono rimanere – esclusivamente sanitarie.” In un altro articolo (in P.A. n.72/85), afferma che “obbligazione alimentare e prestazione assisten­ziale rispondono a logiche tra loro totalmente differenti, l’una pri­vatistica, l’altra pubblicistica, senza possibilità alcuna di collegamento o – ancor peggio – di contaminazione”. Certo – riconosce – “gli obblighi alimentari sono senza dubbio morali prima ancora che giuridici”, ma ribadisce che obbligo alimentare e prestazione assistenziale non vanno confusi, anche se “la confusione farebbe comodo a chi, sull’onda della crisi economica, predica la fine dei sistemi di sicurezza sociale”.
Questa preoccupazione del professore va in senso opposto alla nostra, perchè a noi pare (come abbiamo scritto) che le difficoltà del sistema di welfare dipendano dall’eccessivo “statalismo” e dell’attenuazione dei principi di solidarietà e sussidiarietà. Attenuazione alimentata anche dalle rigide barriere elevate tra due sfere del diritto (civile e amministrativo) che sembra non vogliano parlare la stessa lingua dei comuni cittadini.

3 novembre 2011

Senza solidarietà familiare welfare in difficoltà

Filed under: Società — Cives Cremona @ 13:40

Nel corso dell’incontro con l’assessore Luigi Amore, svoltosi il 13 ottobre presso l’associazione culturale Visioni Contemporanee, sono emerse le difficoltà che incontrano gli istituti di ricovero (le Rsa, Residenze Sanitarie Assistenziali) a riscuotere dai familiari del ricoverato l’integrazione della retta di degenza. Le richieste delle Rsa riguardano soltanto la parte “alberghiera” della retta, in quanto la parte sanitaria è sostenuta integralmente dal servizio sanitario; prima di tutto sono rivolte al ricoverato e solo in caso di sua insolvibilità ai familiari, in proporzione alla loro situazione economica. Le difficoltà degli istituti riguardano sia il comportamento dei familiari, sia la normativa che regola questi rapporti.
Circa il comportamento delle famiglie, succede spesso che i familiari, prima di chiedere il ricovero di un anziano non autosufficiente titolare di una modesta pensione, provvedano a svuotare il suo conto bancario allo scopo di dimostrare la sua insolvibilità. E poi rifiutino di integrare la retta: o perché l’anziano non fa parte del nucleo familiare anagrafico, o ritenendo non applicabile l’obbligo alimentare previsto dal Codice civile (art. 433), o appellandosi alla normativa che, relativamente agli ultra sessantacinquenni non autosufficienti gravi (e ai disabili gravi), prescrive di fare riferimento solo alla loro personale capacità economica.
Quanto alla normativa che regola i rapporti tra istituti, ricoverati e familiari, essa persegue il giusto scopo di attuare il diritto costituzionale di “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi al mantenimento e all’assistenza”, da parte di “organi e istituti predisposti o integrati dallo stato” (art. 38 Cost.), ma tiene poco conto dei “doveri inderogabili di solidarietà” pure previsti dalla Costituzione (art. 2), doveri che dovrebbero concretizzarsi anche attraverso la solidarietà familiare, qualora s’intende i membri della famiglia dispongano di idonei mezzi economici. Gli indicatori economici (Isee) fanno riferimento solo ai componenti del nucleo familiare anagrafico. I comuni o gli istituti di ricovero non possono attivare l’obbligo agli alimenti prescritto dal Codice civile. I trattati internazionali (Convenzione di New York del 13 dicembre 2006), hanno stabilito che la richiesta di integrazione delle rette, per gli over 65 non autosufficienti gravi, può fondarsi sulla situazione economica del solo assistito.
Le sentenze dei tribunali amministrativi si sono adeguate alla normativa e anche quelle di alcuni Tar favorevoli ai comuni sono state riformate dal Consiglio di stato (n. 1607 e 5185 del 2011), col risultato che diversi comuni si sono visti annullare i regolamenti sulle prestazioni assistenziali e hanno dovuto anche restituire le somme percepite come integrazione degli interventi.
Il legislatore non si è reso conto che questa impostazione individualistica del rapporto tra assistito e stato (o comune, o istituto) non rafforza il sistema di welfare, in fortissima difficoltà proprio a causa di un eccessivo ”statalismo” e dell’attenuazione, fino all’eliminazione, dei principi di solidarietà e sussidiarietà che dovrebbero informare le comunità ad ogni livello, a cominciare dalla famiglia.
Le giuste rivendicazioni delle famiglie in termini di diritti (assegni familiari; quoziente fiscale) non possono offuscare il lato dei doveri (come è il caso della partecipazione alle rette di ricovero).

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