Cives Cremona

7 aprile 2011

La veduta corta del capitalismo

Filed under: Antologia — Cives Cremona @ 07:00

“L’attuale crisi non è stata per l’economia di mercato quello che il il 1989 è stato per l’economia di piano. Oggi abbiamo piuttosto a che fare con la crisi di una particolare forma di economia di mercato, contraddistinta da tre caratteristiche essenziali. La prima è l’ideologia fondamentalista del mercato, ovvero l’illusione che il mercato abbia sempre ragione, che esso possa funzionare anche senza regole: una specie di anarchia in cui si può fare ciò che si vuole. La seconda caratteristica è il nazionalismo della politica economica e cioè il crescente divario che si è creato tra il perimetro dei mercati e quello dei poteri pubblici. Il terzo elemento è la veduta corta e rappresenta il più elusivo dei fattori esplicativi della crisi: infatti, mentre i primi due elementi sono più comunemente riconosciuti, questo progressivo accorciarsi dei nostri orizzonti temporali è una questione di cui forse ci rendiamo conto solo oggi”

(Tommaso Padoa-Schioppa, Un’interpretazione della crisi: la veduta corta, in “Annale Fuci 2010”, Editore Studium)

1 commento »

  1. LA FINE DELLA CRISI E IL CAPITALISMO CHE VERRÀ
    Repubblica — 04 agosto 2009 pagina 27 sezione: COMMENTI
    GIORGIO RUFFOLO

    L’ attenzione rivolta alla crisi si concentra generalmente sul tema della sua durata. Pochi si chiedono se e come, dopo la crisi, cambierà l’ economia capitalistica. Durante la grande crisi degli anni trenta – quella che somiglia di più all’attuale – non erano pochi a pensare che la fine della crisi avrebbe coinciso con la fine del capitalismo. In effetti, non ci mancò molto. Oggi, non c’ è nessuno che ci scommetterebbe un euro. E neppure un dollaro. Il capitalismo non sarà eterno. Ma è certo che non ha i giorni contati. Tutt’ al più, i secoli. Ci sono tre forme ben consolidate che il capitalismo ha introdotto nella società moderna e che sembrano storicamente durevoli: il primato dell’economia come motore della storia; il primato del capitale nella struttura dell’economia; il primato del mercato nella sua regolazione. Queste tre caratteristiche sono alla base della quarta: il moto di crescita continuativa che il capitalismo ha impresso all’ economia mondiale. Queste caratteristiche, le tre prime soprattutto, fanno del capitalismo un sistema praticamente insostituibile. La sua alternativa più grandiosa, quella comunista, è naufragata. E non merita nostalgie. Ciò non significa che tutto debba tornare come prima. Questa, più che una previsione, è una aspirazione ideologica. Tornare, dopo una costosa sosta, all’ usato: «il carro stride del passegger che il suo cammin ripiglia». Sarà così? Non credo. Il capitalismo conta i secoli, ma cambia, ogni tanto, la conta. C’ è stato un capitalismo liberale, uno protezionista, uno keynesiano, uno liberista; ciascuno profondamente diverso dall’altro. Quest’ultimo sta uscendo dalla crisi con le ossa rotte. Sembra ragionevole chiedersi se il capitalismo che uscirà da questa crisi sarà molto diverso da quello che vi è entrato: e in che cosa. Ripercorriamo rapidamente le tre caratteristiche durevoli del capitalismo. È (quasi) certo che il motore della storia continuerà ad essere l’ economia (quel quasi avrebbe bisogno di un discorso diverso che ovviamente qui trascuriamo). Ma il motore agisce in una macchina che può cambiare. Le macchine politiche entro le quali il capitalismo ha agito sono state caratterizzate da egemonie nazionali diverse: quella italiana, quella olandese, quella britannica, quella americana. Nell’ultimo secolo, l’egemonia americana è stata incontestabile. Lo sarà anche in futuro? La crisi l’ ha messa a dura prova. E nel frattempo sono emerse nuove potenze politiche: India e Cina. Per non parlare delle potenze economiche multinazionali che sono in grado di sottrarsi anche all’influenza della Superpotenza politica. Tutto ciò determina una condizione di disordine economico mondiale che quest’ultima non è in grado di dominare. Secondo punto. Attraverso la globalizzazione e la finanziarizzazione, la prevalenza del capitale è diventata preponderanza, con conseguenze ingovernabili di instabilità e pericolosamente conflittuali di iniquità. Una economia costantemente esposta al gonfiamento e all’afflosciamento delle bolle speculative non è il quadro ideale per la diffusione del benessere. Terzo punto. La mercatizzazione dell’ economia ha introdotto nel sistema due fattori socialmente disgreganti. Il primo è lo squilibrio tra la sovrabbondanza dei consumi privati e la povertà dei beni sociali (scuola, salute, cultura, solidarietà, ambiente). Il secondo, ancor più grave, è la mercatizzazione delle regole. Se le regole del gioco entrano nel gioco, il gioco si distrugge. Se gli arbitri si possono comprare, non occasionalmente e criminalmente, ma «regolarmente», non esiste più partita. Ciò è avvenuto vistosamente nei fenomeni collusivi dell’attuale crisi, e nella mercatizzazione di titoli che dovrebbero essere strumenti di garanzia e non oggetti di speculazione. Questi tre aspetti giustificherebbero da soli un mutamento radicale nel rapporto tra economia e politica: sul piano dei rapporti internazionali degli scambi e dei cambi; su quello della distribuzione delle risorse tra economia e finanza, tra capitale e lavoro; su quello dell’allocazione delle risorse, tra beni privati e beni pubblici e della distinzione tra contratti e prodotti, tra merci e regole di scambio. Resta il quarto aspetto decisivo, che viene oggi oscurato dalla preoccupazione dominante di uscire comunque e al più presto dalla crisi: quello della sostenibilità della crescita. Dovrebbe essere la questione dominante. Oggi siamo guidati da un indicatore fuorviante, il Pil, che vìola il principio fondamentale dell’economia, la distinzione dei redditi dai costi: una vera assurdità, per non dire una vergogna.

    Commento di Gianni — 8 aprile 2011 @ 23:01


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